ARCHITETTURA MOBILE / SCENOGRAFIE PLASTICHE

ORIGAMI DA PALCOSCENICO

 

“Quanto è magico entrare in un teatro e vedere spegnersi le luci. Non so perché.
C’è un silenzio profondo, ed ecco che il sipario inizia ad aprirsi. Forse è rosso.
Ed entri in un altro mondo”. (David Lynch)

Testo: Francesca Parisi © / Fotografie: Enrica Magnolini ®

 

Il teatro è il luogo d’incontro tra realtà e immaginazione, lo spazio scenico in cui l’azione è in grado di produrre un risultato astratto fortemente sostenuto dalla suggestione. E’ dialogo tra la rappresentazione di concetti socialmente condivisi e l’intimità emozionale di una visione, di un’interpretazione soggettiva e dell’immaginazione che ne deriva.

“…della stessa sostanza dei sogni”, spettacolo di teatro danza ideato e diretto da Serena Marossi, è una rivisitazione del “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupèry in cui il sogno e la fantasia occupano un posto di rilievo nel raggiungimento del risultato finale: onirico, surreale. Un viaggio in cui le storie, come nei sogni, sono raccontate attraverso il linguaggio dei simboli con il supporto di una scenografia incredibile: minimalista nella struttura ma densa di significati.

Il progetto scenografico di Claudia Broggi trova infatti le sue origini in una concezione dell’ambiente teatrale fondata sull’essenzialità di una situazione che si compone di pochi elementi ma con un potere suggestivo tale da bastare a contestualizzare l’intera azione (“Datemi piuttosto una poltrona in stile, datemi una pietra su cui sedermi e sognare…questi oggetti che noi possiamo toccare e vedere sulla scena, sono molto più necessari e importanti sul palcoscenico delle tele cariche di colore che non vediamo” -Stanislavskij).
I danzatori viaggiano sul palcoscenico accompagnati da singolari oggetti di scena: una sfera, un disco, un cilindro, una gonna, un cappello. Eppure sono tutti la stessa cosa: elementi realizzati in carta da 200gr utilizzando la tecnica degli origami che permette una reale e variabile trasformazione di ogni elemento in forme diverse. La sfera può essere schiacciata nella direzione opposta e diventare un cilindro, oppure lasciata semplicemente libera permettendo al peso della carta di definirne la forma, creando così una sfera imperfetta, ma efficace. Allo stesso modo l’apertura dell’oggetto a seguito dello schiacciamento determina lo sviluppo di una forma simile a un disco, grande o piccolo, che può essere indossato e sembrare un cappello o una gonna.

 

 

 

 

 

Ad accompagnare gli elementi portati dai danzatori, una sola microstruttura che ne permette la sospensione: tondini di metallo del diametro di 4 mm alti 150 cm inseriti su basi mobili appoggiate su piccole ruote che ne facilitano lo spostamento. Questo impianto assume un ruolo pratico, essendo supporto fisico per gli oggetti e allo stesso tempo presenta una figura esteticamente decorativa simile a grandi fiori con lunghi steli che vediamo muoversi leggeri da un lato all’altro del palcoscenico. Gli oggetti in origami ora sono quindi dei fiori e la loro base portante (tondino e piantana) è tutta di colore bianco con un unico particolare nero: le rotelle che sostengono la base e che regalano un’idea di sospensione a tutta la figura.

E’ stata l’osservazione delle illustrazioni del libro ad ispirare l’idea di Claudia Broggi, che ha dato vita a un paesaggio spoglio ma con elementi molto snelli e longilinei capaci di enfatizzare il vuoto e la solitudine. Elementi che, con la loro eleganza e leggerezza, offrono un immediato rimando a qualcosa di accessibile, familiare, amico. Ed è proprio l’accessibilità una delle caratteristiche che ha giocato un ruolo fondamentale anche nel rapporto attore/danzatore e scenografia, movimento del corpo e oggetto scenico. Ed ecco soddisfatta una continua relazione tra i due protagonisti: il danzatore prende l’oggetto, lo sposta, lo trasforma, lo indossa. Ora l’oggetto è plasmato dal danzatore, ora il danzatore è vestito dall’oggetto, in una costante alterazione reciproca in cui estetica e forma dipendono fortemente da espressività corporea e interpretazione.

 

 

 

 

Ecco il viaggio del Piccolo Principe: variazione tra un pianeta e l’altro.

Ed ecco il viaggio del progetto scenografico: perfetta fusione tra espressione artistica, utilità pratica e rappresentazione drammaturgica.

 

Come nasce il progetto.

Fin dall’inizio la concezione della scenografa si accosta facilmente alla precisa richiesta della regista: il bisogno di visualizzare dei pianeti, destinazioni ricorrenti nel cammino esplorativo del Piccolo Principe.
Partendo quindi dalla forma archetipa del pianeta, sferica ma con imperfezioni, crateri e dissestamenti, è nata la visualizzazione di un elemento di tale forma legata all’intenzione di sfruttare la singolarità di una scenografia astratta per entrare in uno spazio di immaginazione ampio: un oggetto che si trasforma sviluppando la creatività visiva. E un oggetto che basta a sè stesso: la semplicità usata per tratteggiare un paesaggio ricchissimo.

La tecnica degli origami ha risposto in modo ottimale a una serie di necessità di carattere pratico ed estetico, innanzi tutto fornendo un prezioso suggerimento nella scelta del materiale: la carta. Flessibile, mobile e ovviamente economica, la carta è anche un elemento particolarmente familiare al pubblico, specialmente ai bambini. La tecnica e il materiale, insieme, hanno permesso la trasformazione di un elemento bidimensionale, il foglio, in un elemento tridimensionale senza bisogno di strutture, scheletri o giunture (se non un’unica chiusura semplicemente realizzata con nastro adesivo).
E l’architettura è il mezzo che ha potuto concretizzare le potenzialità del materiale, grazie alla sua capacità di trasformazione. L’architettura è la strada che, attraverso la geometria, permette di creare una struttura prima ancora che diventi forma estetica. Ecco allora un esoscheletro che si autosostiene in un modello in cui ciò che è la pelle esteriore è anche la sua parte costruttiva. Questa autonomia estetica permette così all’oggetto di presentarsi così com’è, senza che vi sia necessità di ornamenti.

 

 

 

 

 

Il tutto ha poi generato una scelta ben precisa che ha interessato l’entrata in scena degli elementi: quella di non svelare subito l’oggetto per intero, né il danzatore.
Tale scelta rientra anche in una specifica area del lavoro scenografico: lo studio e la progettazione del rapporto tra oggetto e disegno luci. In questo caso, gli elementi scenici sono contenitori di luce: in un particolare momento i danzatori entrano nella scena completamente buia, portando in mano le sfere all’interno delle quali vi sono piccole luci colorate posizionate in un punto preciso, in modo da far apparire le sfere colorate e luminose sospese nel buio, come pianeti, in una fotografia che non rivela completamente né i danzatori né gli elementi scenografici.
A tal proposito il lavoro di Claudia Broggi non termina con la produzione ma prosegue con un nuovo obiettivo: ottimizzare la potenzialità della forma sferica e della texture naturalmente prodotta dall’elemento luce.

E intanto il viaggio del Piccolo Principe continua tra un palcoscenico e l’altro, accompagnato da una scenografia nomade, che presenta la sua economia nella facilità di trasporto, nella riproducibilità geometrica e nella sua straordinaria possibilità di adattamento: pianeti chiusi in una borsa, pronti per proseguire il loro cammino.

 

 

 

Testo: Francesca Parisi © / Fotografie: Enrica Magnolini ®